Lot Essay
Dal 1920 - dopo l'adesione e il superamento dell'esperienza futurista e l'adesione nel 1916 alla Metafisica - Carrà avverte l'esigenza di un ritorno all'ordine pittorico della rappresentazione della realtá naturale. Sono gli anni dei soggiorni in Liguria ed in Toscana, a Forte dei Marmi e nella Garfagnana, ma sono anche gli anni della meditazione sulla pittura di Cézanne e delle pubblicazioni di uno studio sull'amato Giotto.
Ma è il 1927 che segna un approfondimento del lavoro di Carrà sul paesaggio, in direzione di un naturalismo dagli accenti primitivi e incantati. Uscito dallo studio per ritornare alla natura, per ammirarla nei multiformi aspetti, Carrà crea solidi paesaggi, ben disegnati e costruiti, pervasi da una vena romantica che appartiene al gusto lombardo ottocentesco in cui si è formato il pittore. La ricerca sui colori applicata ai piani immutabili della verità in cerca della struttura e dell'intimità poetica delle cose, fissa - con una tavolozza schiarita nei toni - cieli ariosi, monti, laghi, luoghi ombrati e romantici, colti e rievocati nella loro schematica architettura e immersi in atmosfere sospese e straniate ma sempre filtrate dall'esperienza metafisica.
Come osserva Alfonso Gatto, "la meditazione compositiva di Meriggio quanto più s'addentra a dar d'ogni cosa la convinzione d'essere, tanto più libera quel senso d'aria immobile, tacita di segreti fermenti, che si lascia occupare dal suo riposo. Per alternanza di rigori e di sollievi - dalla terra al pedale dell'albero, dalla chioma alle case, al cielo - tutto sale come guardato dalla terra: perciò l'opera è come trascorsa da un riflesso vitreo d'apparizioni che non fanno rumore. Ed è insieme l'alzarsi naturale, per respiro, delle cose che crescono e delle cose che ristanno. Lo sguardo dell'uomo è più necessario della sua presenza. La pittura ne è dominata".
(in, Il creato di Carrà in "Carrà. Tutta l'opera pittorica" vol. I, 1900-1930, Milano, 1967, pag. 43)
Ma è il 1927 che segna un approfondimento del lavoro di Carrà sul paesaggio, in direzione di un naturalismo dagli accenti primitivi e incantati. Uscito dallo studio per ritornare alla natura, per ammirarla nei multiformi aspetti, Carrà crea solidi paesaggi, ben disegnati e costruiti, pervasi da una vena romantica che appartiene al gusto lombardo ottocentesco in cui si è formato il pittore. La ricerca sui colori applicata ai piani immutabili della verità in cerca della struttura e dell'intimità poetica delle cose, fissa - con una tavolozza schiarita nei toni - cieli ariosi, monti, laghi, luoghi ombrati e romantici, colti e rievocati nella loro schematica architettura e immersi in atmosfere sospese e straniate ma sempre filtrate dall'esperienza metafisica.
Come osserva Alfonso Gatto, "la meditazione compositiva di Meriggio quanto più s'addentra a dar d'ogni cosa la convinzione d'essere, tanto più libera quel senso d'aria immobile, tacita di segreti fermenti, che si lascia occupare dal suo riposo. Per alternanza di rigori e di sollievi - dalla terra al pedale dell'albero, dalla chioma alle case, al cielo - tutto sale come guardato dalla terra: perciò l'opera è come trascorsa da un riflesso vitreo d'apparizioni che non fanno rumore. Ed è insieme l'alzarsi naturale, per respiro, delle cose che crescono e delle cose che ristanno. Lo sguardo dell'uomo è più necessario della sua presenza. La pittura ne è dominata".
(in, Il creato di Carrà in "Carrà. Tutta l'opera pittorica" vol. I, 1900-1930, Milano, 1967, pag. 43)