Giandomenico Tiepolo (Venezia 1727-1804)
Giandomenico Tiepolo (Venezia 1727-1804)

La Clava di Ercole e Leontea Minerva entro nicchia sovrastata da timpano con due geni alati che reggono lo stemma Valmarana

Details
Giandomenico Tiepolo (Venezia 1727-1804)
La Clava di Ercole e Leontea
Minerva entro nicchia sovrastata da timpano con due geni alati che reggono lo stemma Valmarana
affresco applicato su tela
129.5 x 228 cm.; e 446.4 x 305.5 cm. (2)
Provenance
Gli affreschi dal lotto 121 al lotto 123 furono commissionati nel 1773 a Giandomenico Tiepolo dal conte Gaetano Valmarana (1727-1794) per il salone del palazzo Valmarana, poi Franco, in contrà San Faustino a Vicenza. All'inizio del secondo conflitto mondiale, per timore di danni bellici, gli affreschi vennero strappati e successivamente trasportati in palazzo Franco di via Porta Padova dove le opere sono rimaste giungendo, per via ereditaria, agli attuali proprietari.
Literature
G. Vigni, 'Note su Giambattista e Giandomenico Tiepolo', Emporium, luglio 1943, p. 16.
F. Barbieri, R. Cevese, L. Magagnato, Guida di Vicenza, Vicenza, 1956, p. 187.
A. Mariuz, Giandomenico Tiepolo, Venezia, 1971, pp. 75, 147, figg. 247-262.
G. Pavanello, L'Ottocento, in F. D'Arcais, F. Zava Boccazzi, G. Pavanello, Gli affreschi nelle ville venete: dal Seicento all'Ottocento, Venezia, 1978, p. 106.
F. Barbieri, Vicenza: storia di un'avventura urbanistica, Vicenza, 1982, p. 177 ill. (Minerva)
V. Sgarbi, in V. Sgarbi, V. Veller, M. Cova, Palazzo dei conti della Valle. Annotazioni per un tesoro ritrovato, Vicenza, 1986, p. 9.
F. Barbieri, Vicenza, città di palazzi, Milano, 1987, cat. n. 7, pp. 143-144.
F. Barbieri, L'immagine urbana dalla rinascenza alla 'età dei lumi', in F. Barbieri, P. Preto, Storia di Vicenza, III/2, Vicenza, 1990, p. 264.
R. Cevese, La decorazione, in F. Barbieri, P. Preto, Storia di Vicenza, III/2, Vicenza, 1990, p. 308.
A. Mariuz, in I Tiepolo e il Settecento vicentino, catalogo della mostra, Vicenza, 1990, pp. 75-76, cat. n. 1.15.
R. Menegozzo, Nobili e Tiepolo a Vicenza: l'artista e i committenti, Vicenza, 1990, p. 95.
Exhibited
Vicenza, Basilica Palladiana, I Tiepolo e il Settecento vicentino, 26 maggio - 20 settembre 1990, cat. n. 1.15 (a Clava di Ercole e Leontea)
Sale room notice
Gli affreschi sono notificati dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali.
The frescoes are notified by the Ministero per i Beni e le Attività Culturali.

Lot Essay

Per la mano sinistra del genio alato sollevata verso l'alto, si segnala un disegno di Giandomenico Tiepolo raffigurante lo studio dal vero di una mano sinistra a Venezia, Museo Correr (n. 7346). Il disegno, preparatorio per il giovane posseduto nella pala d'altare di San Francesco di Paola a Venezia, fu probabilmente riutilizzato dal pittore per il braccio sinistro del soldato in primo piano a sinistra della Resurrezione di Cristo in San Polo a Venezia (cf. G. Knox, Giambattista and Domenico Tiepolo: a study and catalogue raisonne of the chalk drawings, Oxford, 1980, I, p. 133, cat. n. D.29, II, tav. 120).
Le opere offerte nei lotti 121, 122 e 123 appartenevano alla decorazione a fresco del salone del palazzo Valmarana, poi Franco, in contrà San Faustino, commissionata dal conte Gaetano Valmarana probabilmente in occasione del suo matrimonio con la nobildonna vicentina Elena Garzadori, avvenuto il 15 gennaio 1772. Il ciclo venne completato il 18 febbraio dell'anno seguente, come indicato dalla data apposta sul rilievo affrescato con Ercole sul rogo.
Gaetano Valmarana era figlio del conte Giustino, che nel 1757 aveva incaricato Giambattista e Giandomenico Tiepolo di affrescare la villa a San Bastian, nei pressi di Vicenza. Ereditata nel 1771 l'ingente fortuna paterna dopo la morte del primogenito Antonio, il conte Gaetano, 'uomo colto, avveduto', come lo dice il Da Schio (cf. Menegozzo, op. cit., p. 97), si rivolse per la decorazione della dimora cittadina a Giandomenico, suo coetaneo, che dopo la scomparsa del padre Giambattista, avvenuta a Madrid tre anni prima, gli era succeduto nell'impresa di famiglia.
L'edificio attuale presenta una sobria facciata seicentesca, tipicamente vicentina per lo 'stile severo' ispirato alle architetture di Scamozzi, da cui si discosta unicamente il balcone mediano di epoca settecentesca (cf. F. Franco, 'La scuola scamozziana "di stile severo" a Vicenza', Palladio, 1937, p. 61, fig. 11 a p. 66; F. Fontana, Il Sei e Settecento, in Vicenza. Aspetti di una città attraverso i secoli, Vicenza, 1983, pp. 103-104; e Barbieri, op. cit., 1987, p. 143-144).
Seppure non è noto l'architetto, il palazzo 'per l'armonica distribuzione dei fori nei tre piani di cui si compone, per il signorile e largo taglio delle modanature, per certo generoso respiro dell'insieme, può considerarsi il frutto migliore di quella scuola architettonica vicentina che fiorì nel primo '600' (cf. Barbieri, Cevese, Magagnato, op. cit., pp. 186-187).
Adriano Mariuz ha pubblicato per primo uno studio sugli affreschi del salone del palazzo, avanzando una ricostruzione dell'ambiente che li ospitava (1971). Entro una quadratura di gusto neo-palladiano erano dipinti a monocromo finte statue e rilievi dedicati alle fatiche di Ercole. Alcune vecchie foto della parete principale del salone mostrano un sistema di paraste corinzie entro cui si dispongono, al centro, una nicchia absidata con Ercole e Cerbero incatenato su piedistallo ornato da un rilievo che raffigura un Sacrificio pagano, e, ai lati, edicole timpanate, con Giove a sinistra e una Figura femminile con Clava e Leontea (Onfale o Deianira?) a destra. Queste ultime statue sono sormontate da coppie di Ninfe e geni alati. Nelle sovrapporte campeggiano coppie di Satiri con vasi e strumenti musicali. Ai lati delle finestre delle due pareti brevi sono posti quattro rilievi di formato minore ad andamento verticale: Ercole ai confini del mondo; Ercole e l'Idra; Ercole libera Prometeo; e Ercole sul rogo (datato in alto a destra: 'Febraro 18 1773'). Sulla base di vecchie fotografie si possono avanzare ipotesi sull'ubicazione originaria delle restanti opere: sopra i rilievi verticali sono inseriti dei tondi di cui restano l'inedita Testa di guerriero di profilo e la Testa di Minerva, mentre sopra le finestre laterali sono collocati due finti rilievi, Ercole in lotta con i centauri e Ercole in lotta con il leone Nemeo. Sul lato lungo, che si immagina analogamente ripartito da paraste, figurano, secondo sapienti chiasmi, di fronte a Giove una Figura femminile con Clava e Leontea in una nicchia (privata del timpano già nella fotografia storica), e una Minerva di fronte alla Figura femminile con Clava e Leontea. A metà della lunga della parete, in alto è posta La Clava di Ercole e Leontea, come si può dedurre dal fatto che al centro si incontrano le linee di fuga del fregio a mensole che doveva fungere da cornice. Dalla documentazione fotografica il soffitto presenta una semplice copertura a travature lignee.
La quadratura del salone riprende uno schema adottato da Giambattista Tiepolo e aiuti in collaborazione con Girolamo Mengozzi Colonna nella Galleria di palazzo Valle poi Marchesini a Vicenza.
Secondo Franco Barbieri (op. cit., 1990) la partitura architettonica della sala riecheggia il primo ordine del proscenio del Teatro Olimpico di Vicenza, sede dell'Accademia Olimpica, di cui il conte Gaetano era membro fin dal 1759. Le ragioni dell'omaggio alla grande lezione palladiana si trovano nel revival promosso in quegli anni dall'erudito vicentino Ottavio Bertotti Scamozzi, esponente di spicco dell'Accademia Olimpica e autore di Le Fabbriche e i Disegni di Andrea Palladio (1776-83). Anche la scelta tematica dedicata ad Ercole rimanda d'altronde al celebre proscenio, i cui rilievi del coronamento superiore sono dedicati alle fatiche del mitico eroe.
È questa l'ultima attività importante di Giandomenico Tiepolo in ambito vicentino.
Il carattere sobrio ed austero della decorazione appare lontano dalla felicità d'arcadia degli affreschi della villa Valmarana a San Bastian, dipinti da Tiepolo padre e figlio quindici anni prima. Certamente il gusto dell'insieme riflette le tendenze classiciste che Giandomenico matura al ritorno dalla Spagna nell'autunno del 1770 e denuncia aspetti del nascente neoclassicismo che porteranno a fine secolo alla supremazia della scultura sulla pittura. Gioca a favore anche l'uso del monocromo, di cui il pittore era all'epoca affermato specialista (cf. gli affreschi coevi della stanza dei Satiri nella villa di famiglia a Zianigo, ora Venezia, Museo di Ca' Rezzonico).
Mentre le sculture, come nel caso della monumentale Minerva, si basano sulla grammatica di Giambattista (così come lo era la finta statua entro la nicchia dell'Abbondanza, affrescata da Giandomenico già nella villa Zianigo, cf. F. Pedrocco, Satiri, centauri e pulcinelli, catalogo della mostra, Venezia, 2000, p. 65, fig. 2), il tratto sinuoso che delinea il contorno dei volti e dei panneggi è proprio di Giandomenico, solito all'osservazione analitica, che di fatto trasfigura la sintassi paterna. "Nella raffigurazione 'illusionistica' di statue e rilievi, il segno si arrovella, si dirama nervosamente entro la forma, plasmata, si direbbe, nello stucco piuttosto che spiccata nel marmo" (Mariuz, op. cit., 1990, p. 76). Un registro più domestico, ai limiti del grottesco, si manifesta nei rilievi di minore formato dei lati brevi della sala, come l'Ercole ai confini del mondo in cui il mitico eroe è presentato come un viandante su uno scosceso sentiero di montagna. Ma l'abilità del pittore è resa nei satiri delle sovrapporte, dove egli 'convoglia tutta la vivacità del suo estro pittoresco' (Mariuz, op. cit., 1990, p. 76). Al tema dei satiri e centauri il pittore dedica una serie di disegni, che risalgono agli anni Ottanta. Tra questi fogli figura un disegno già in collezione Italico Brass con Ercole in lotta contro il leone Nemeo, compositivamente molto vicino al rilievo di analogo soggetto degli affreschi in esame (D. Succi, in A. M. Gealt, G. Knox, Giandomenico Tiepolo. Scene di vita quotidiana a Venezia e nella terraferma, Venezia, 2005, p. 75).
Nell'allestimento dell'interno Giandomenico non sembra sottrarsi all'effetto scenografico d'insieme. Le pareti classicheggianti simulano fondali di teatro mentre le sculture dipinte a figura intera, in posa solenne, agiscono come attori al cospetto degli spettatori-committenti. Ma a tale rappresentazione contribuiscono soprattutto i satiri con i loro ingombri d'ombra, il cui impeto vitalistico appare maggiore rispetto a quelli affrescati nella villa Valmarana. 'Simili a giocolieri o saltimbanchi in procinto di irrompere sull'arena, i satiri risaltano tra le altre figure anche per il tono cromatico diverso, molto più carico. Illuminati dalla luce radente, proiettano sullo sfondo le loro ombre: gioco di transeunti profili, che amplificano l'irruenza delle immagini' (Mariuz, op. cit., 1990, p. 76), secondo un gusto dell'assurdo, diametralmente opposto alla logica razionale neoclassica.
Gli affreschi sono notificati dal Ministero per i beni e le Attività Culturali.