Lot Essay
Lucio Fontana ha praticato la ceramica già dalla metà degli anni Trenta, e il suo lavoro di scultore durante quel decennio si è affermato operando dalla terracotta alla ceramica; quest'ultima costituendo un approdo di straordinarie possibilità del colore nell'evento plastico; interessato com'era all'incidenza luminosa che aprisse la forma plastica ad un dinamismo spaziale. La sua avventura "spaziale" si è configurata subito in sculture in ceramica, nel 1947, prima dunque che nell'"ambiente nero", dell'inizio del 1949, e nell'esperienza dei "buchi", avviata fra 1949 e '50. In ceramica Fontana è stato scultore, oggettista, ma anche ambientatore, collaborando con architetti. Appartiene a quest'ultimo filone di esperienze il pilastro in ceramica che si trova nell'Hotel "Alpi" a Bolzano, e che viene ora ad aggiungersi al già ricco catalogo del lavoro plastico del grande artista. Costituisce una scoperta significativa nell'ambito delle collaborazioni ambientali, come lo è stato il recupero dei quattro rilievi in ceramica realizzati nel 1949 per la nave"Conte Grande", che si sono potuti recentemente ammirare alla mostra nella Triennale di Milano, una delle cinque del Centenario. Il pilastro, rettangolare (alto cm 310x160x70), ha quattro facce, due pù estese e figurate, due più corte e soltanto percorse da segni. In una delle facce larghe reca firma e data "L. Fontana 57". Gli fu commissionato dall'ingegnere Ronca, che aveva studio a Bolzano e a Milano, per conto della proprietà Collini; destinato ad un edificio, opera dell'ingegnere Marchi, inaugurato nel marzo 1958 (concessione edilizia del 29 marzo 1956). E verisimilmente è stato realizzato ad Albisola. Fontana vi ha impresso la propria immaginazione dinamica, delineandovi sia movimenti di figure, sia puri interventi segnici, in una complessiva evidente intenzione d'arabesco decorativo. Il tutto giocato in neri-grigi su una sconfinata campitura di bianchi, avvolgente l'intera superficie del pilastro; e realizzato in una stestura plastica molto animata e materica: figure e segni impressivi in un effetto di bassorilievo, malgrado il notevole aggetto delle figure. La faccia recante firma e data propone due danzatori esotici in azione; in alto un accenno di padiglione con sopra uno spicchio di luna; in basso il criptico distendersi di segni dominati dallo svolgimento d'una complessa spirale. L'altra faccia lunga propone invece un cavaliere su cavallo impennato in tenzone, quasi danzante, con un dinamico personaggio appiedato; in alto un accennato sole, in basso un insieme di cose, come una grande "natura morta", e più sotto altri criptici insiemi di segni: come due articolate spirali che si affrontino. Sui pilastri minori corrono, in cadenza verticale, soltanto segni, più semplici ed essenziali: altre spirali, linee, serie di punti. Naturalmente l'insieme è costituito da un assemblaggio di formelle di diverse dimensioni. Come del resto sempre accaduto (per ovvie ragioni di tecnica) nelle grandi ceramiche ambientali fontaniane.
L'impresa bolzanina si colloca in un momento di notevole attività di Fontana come scultore ceramista a scala ambientale: dalla grande e plastica pala Apparizione del Sacro Cuore a Santa Margherita Alacoque, del 1956, nella basilica di San Fedele, a Milano, alla grande ceramica, del 1957 stesso, per l'Istituto Gonzaga, a Milano. Ma nella configurazione delle presenze dinamiche, nel pilastro in questione, Fontana ha fatto ricorso a soluzioni tipiche del proprio repertorio immaginativo "decorativo": danzatori e cavalieri. Precedenti dei danzatori ricorrono già, per esempio, in un soffitto (in gesso colorato), ora smontato, realizzato nel 1952-53 per un appartamento milanese. E il cavaliere è un tema già ricorrente anche nella sua ceramica ambientale nell'immediato secondo dopoguerra: per esempio nel grande pannello di una Battaglia del 1947, o nel lungo fregio - sul medesimo tema -, del 1948, per il Cinema Arlecchino a Milano, dell'architetto Roberto Menghi. Ma è interessante notare affinità più strette con altre sue imprese ambientali di cronologicamente più prossime: come il rilievo (in bronzo), del 1958, sulla facciata della Chiesa dell'Assunta ai Piani di Celle Ligure, dell'architetto Enzo Magnani, o alcune figure della via Crucis nella Cappella della Casa Materna Asili Nido, alla periferia di Milano, dell'architetto Marco Zanuso.
Il repertorio dei puri segni, soprattutto appunto spiraliformi, è certamente più originale nel repertorio immaginativo fontaniano; e i precedenti se ne possono trovare soprattutto nell'ambito del disegno: movimenti spiraliformi risalgono per esempio alle prime formulazioni "spaziali", del 1950. A quanto finora noto, il nesso del rapporto di Fontana con l'Alto Adige è stato l'architetto Luciano Baldessari, con il quale ha ripetutamente collaborato fin dal 1936, e per il quale ha progettato nel 1960 un soffitto "a tagli" per l'atrio del Condominio Milano a Rovereto. Ma l'intervento nell'Hotel "Alpi" testimonia come la fortuna operativa di Fontana in questa area non passasse necessariamente soltanto per Baldessari, con il quale peraltro ha condiviso precocemente ideali e progetti di modernità.
Enrico Crispolti
L'impresa bolzanina si colloca in un momento di notevole attività di Fontana come scultore ceramista a scala ambientale: dalla grande e plastica pala Apparizione del Sacro Cuore a Santa Margherita Alacoque, del 1956, nella basilica di San Fedele, a Milano, alla grande ceramica, del 1957 stesso, per l'Istituto Gonzaga, a Milano. Ma nella configurazione delle presenze dinamiche, nel pilastro in questione, Fontana ha fatto ricorso a soluzioni tipiche del proprio repertorio immaginativo "decorativo": danzatori e cavalieri. Precedenti dei danzatori ricorrono già, per esempio, in un soffitto (in gesso colorato), ora smontato, realizzato nel 1952-53 per un appartamento milanese. E il cavaliere è un tema già ricorrente anche nella sua ceramica ambientale nell'immediato secondo dopoguerra: per esempio nel grande pannello di una Battaglia del 1947, o nel lungo fregio - sul medesimo tema -, del 1948, per il Cinema Arlecchino a Milano, dell'architetto Roberto Menghi. Ma è interessante notare affinità più strette con altre sue imprese ambientali di cronologicamente più prossime: come il rilievo (in bronzo), del 1958, sulla facciata della Chiesa dell'Assunta ai Piani di Celle Ligure, dell'architetto Enzo Magnani, o alcune figure della via Crucis nella Cappella della Casa Materna Asili Nido, alla periferia di Milano, dell'architetto Marco Zanuso.
Il repertorio dei puri segni, soprattutto appunto spiraliformi, è certamente più originale nel repertorio immaginativo fontaniano; e i precedenti se ne possono trovare soprattutto nell'ambito del disegno: movimenti spiraliformi risalgono per esempio alle prime formulazioni "spaziali", del 1950. A quanto finora noto, il nesso del rapporto di Fontana con l'Alto Adige è stato l'architetto Luciano Baldessari, con il quale ha ripetutamente collaborato fin dal 1936, e per il quale ha progettato nel 1960 un soffitto "a tagli" per l'atrio del Condominio Milano a Rovereto. Ma l'intervento nell'Hotel "Alpi" testimonia come la fortuna operativa di Fontana in questa area non passasse necessariamente soltanto per Baldessari, con il quale peraltro ha condiviso precocemente ideali e progetti di modernità.
Enrico Crispolti